Leggendo questo post la prima reazione che ho avuto è quella classica (credo) di una persona che si fa un bilancio e si chiede quante volte ha vissuto in modo intenso la propria vita.
Ma poi ho cominciato a pensare a chi attorno a me sembra essere una persona che non sta vivendo, in un certo senso che sta “sprecando la propria vita”, e a dire il vero non ne ho trovate e mi sono reso conto che nemmeno io ho mai avuto un momento in cui posso dire “esistevo niente di più”.
Dopo una certa riflessione mi son reso conto che tutti noi abbiamo uno “scopo” e non è detto che chi come me si occupa tutto il giorno di ricerca e centra tutto sull’emozione ecc sia una persona più “alta” di chi magari non fa altro che passare la propria vita con cose che comunemente riteniamo banali.
Tutto ha un senso e tutto ruota dietro una grandissimo progetto, meraviglioso se vogliamo.
Non potrei fare a meno di tutte le persone che ritengo “spente” altrimenti come potrei osservare me stesso prima di tutto e guardarmi in profondità scoprendo le mie parti “spente”.
Ognuno di noi si contorna di persone che rispecchiano il proprio inconscio, la propria storia e più “giudichiamo” più tendiamo a perpetuare questo meccanismo.
Tutto è meraviglioso, anche un filo d’erba è lì da sempre fermo a non far niente eppure se non ci fosse...
lunedì 30 maggio 2016
Vivere intensamente
giovedì 26 maggio 2016
Innamorarsi dell'altro
Questo pensiero di Gibran rispecchia moltissimo il mio modo di vedere l’evoluzione, intesa come miglioramento del proprio livello di vita a 360 gradi.
In pratica in molte culture la vita in Monastero è sempre stata vista come la via migliore per riconoscersi alla pari di un essere perfetto come è stato concepito nell’inconscio collettivo il Cristo e i Santi. In pratica vuoi per cancellare i propri “peccati”, vuoi per cancellare i peccati del mondo, la migliore soluzione è sempre stata quella di isolarsi e pregare, nonché di farsi una cultura in ambito religioso seguendo il contenuto di testi ben precisi.
In pratica Dio viene visto come un qualcosa di molto vicino alla solitudine, basti pensare al Tarocco n. 9 che rappresenta l’Eremita, simbolicamente il Maestro Guaritore che isolandosi dal sociale eleva se stesso.
Tutto questo però assomiglia molto all’atteggiamento di un animale che di fronte ad un problema decide di scappare, non sono qui certo per giudicare, ma per riconoscere il valore dell’aforisma in questione.
Se ognuno di noi è lo specchio dell’altro vedo solo una soluzione di fronte a me: avvicinarmi il più possibile a ciò che rappresenta le mie zone d’ombra, comprendere che sono parte di un unico corpo e cominciare a trascendere ogni paura o giudizio che si risveglia.
Ci sono sicuramente situazioni troppo difficili da affrontare, situazioni dove io stesso consiglio di fuggire, ma in generale dobbiamo comprendere che noi attiriamo esattamente chi ci fa da specchio che questo ci piaccia oppure no.
Il mio consiglio oggi è quello di riconoscere che dietro ad un comportamento che non ci piace di una persona c’è sempre un’infanzia ferita, se lo accettiamo riusciremo a fare un grande salto di qualità e a riconnetterci con il Divino attivando in noi una nuova chiave di svolta. Buona giornata a tutti e per leggere tutti i miei post ti consiglio di visitare la seguente pagina: http://www.fabionetzach.net/#!blog/c1itj
E tu quanto sai e quanto credi?
Quando ho letto questo aforisma del magico Nietzsche mi è venuto in mente un altro suo pensiero in cui invita le persone ad uscire dalla paura di affrontare il cambiamento etichettandoli come soggetti che preferiscono rimanere aggrappati alle illusioni piuttosto che comprendere la realtà.
Ebbene il post in oggetto non si differenzia molto, solo che fa uso di due termini ben specifici “sapere” e “credere”.
Per anni mi son chiesto quanta importanza avesse la “conoscenza” rispetto alla “consapevolezza” e per migliaia di volte ho cercato di arrivare all’idea che quest’ultima vale molto di più della prima, ma alla fine non ci sono mai veramente riuscito altrimenti non continuerei a fare seminari cercando di dare informazioni di carattere molto tecnico a volte se vogliamo, aspetti genealogici ed emozionali tali da essere compresi attraverso il loro “principio matematico”, del tipo: a seconda di come ha vissuto i sensi di colpa la nonna così questi influenzeranno sui limiti affettivi che la generazione dei nipoti potrà vivere e così via.
D’altro canto però mi son permesso di fare una riflessione, vale di più tutta questa conoscenza ripeto quasi “matematica” o è piuttosto necessario comprendere come girano dentro noi le emozioni per poi riuscire a trascendere le nostre paure?
Sono arrivato ad una semplice ma sicuramente incompleta conclusione, ossia che esistono principi secondo i quali un’infanzia ed una adolescenza vissute con sofferenza, e con questo mi riferisco soprattutto al mancato pieno riconoscimento del valore del soggetto in famiglia. Egli necessita di passare una fase di sblocco di tipo strettamente “mentale” attraverso il quale poter seguire delle onde ben specifiche di informazioni per poter “osservare” bene le proprie emozioni.
Questo perché in una persona ferita non è facile dire “parti dal tuo trauma” è più facile partire con un approccio strettamente scientifico, un modo staccato di agire su se stessi, tanto da permettere al soggetto di fare delle piccole e semplici, ma non dolorose osservazioni.
E così passano gli anni ed il soggetto “dandosi il permesso” comincerà con più facilità a riconoscere aspetti emotivi che non avrebbe compreso in altra forma.
Immagina invece un soggetto cresciuto in un ambiente completamente Illuminato, cosa impossibile sul piano umano attuale se mi posso permettere, non avrebbe emozioni di giudizio, tensioni che non gli permetterebbero guardarsi ancor più in profondità, perché non ci sarebbero forme di dolore e blocchi tali da dire “no preferisco rimanere aggrappato alle dipendenze piuttosto che cercare la felicità”.
Poi esiste un altro piano che richiede tecnicamente una figura femminile nella famiglia poco disturbata nel vissuto famigliare, cosa difficile considerando le presenze aggressive talvolta di suocere ed altri soggetti.
Mi riferisco alla storia di anche cinque generazioni, non mi riferisco strettamente a tua madre, lei è solo una conseguenza di un lungo vissuto generazionale.
Questo piano prevede la capacità di affidarsi pienamente all’Universo e “credere” per ottenere l’informazione necessaria per arrivare a comprendere un’emozione.
Ho fatto riferimento al femminino ferito in famiglia perché la fede (ossia la capacità di credere che riusciamo ad ottenere ciò che esprimiamo come intenzione, desiderio) per esprimersi ha bisogno di un campo libero dove le donne possano manifestare la propria femminilità e creatività al completo, cosa impossibile considerando tutti gli aborti che le nostre famiglie hanno tristemente vissuto e tutti i massacri di uomini che non avendo avuto una madre calorosa hanno manifestato la propria tensione in famiglia traducendo il calore dell’affetto in calore dell’aggressività mascolinizzando le donne in balia di un necessario sistema di difesa per sé e per il nucleo.
Quindi che fare? Ritornerò su questo argomento almeno altre mille volte forse, per ora ti consiglio di cominciare ad osservarti ogni volta che entri in uno stato di tensione e chiederti ancora se è conveniente a te e a tutte le future generazioni. Un abbraccio e buona giornata (articolo pubblicato nel mio blog: http://www.fabionetzach.net/#!blog/c1itj)
mercoledì 25 maggio 2016
Riconoscersi dentro per Risvegliare la Chiaroveggenza
Quante volte ci fermiamo veramente ad “osservare” nei dettagli lo sguardo delle persone che ci stanno davanti? Gli occhi ed il corpo di una persona dicono molte più cose di quanto la bocca possa pronunciare.
Tutti noi sappiamo quanto sia potente il “verbo”, ma molto spesso non ci rendiamo conto di quanto valore ha la comunicazione “non verbale”.
Ci sono molte discipline che parlano in merito a questo “linguaggio nascosto”, ma al di la di quello che ci raccontano a livello strettamente meccanico ci dovremmo chiedere quante volte nella vita siamo riusciti ad emozionarci solo nel guardare una persona vuoi negli occhi vuoi rispetto all’espressione del corpo, al suo movimento o alla sua staticità.
Un esercizio che possiamo fare di tanto in tanto è per esempio quello di fermarsi un attimo e guardare il viso e le forme di una persona, anche da una semplice fotografia di un giornale, percependo le emozioni che la sua anima sta provando.
Abituarsi a leggere un linguaggio così profondo permette a tutti noi di risvegliare l’intuito, la percezione e tutta una serie di informazioni associate al femminino fino a creare un automatismo che un giorno si trasformerà molto probabilmente in chiaroveggenza.
Ma cosa ci frena? perché non guardiamo sempre le persone in modo completo? Perché abbiamo poco tempo? forse si, ma non è la risposta più soddisfacente, la verità è un’altra, è che quell’espressione ci può mettere troppo a rischio e guardarla troppo in profondità potrebbe voler ammettere che… “hai sofferto a causa di un mio comportamento non corretto”, “riconosco che il mio dovere è quello di aiutare il prossimo, ma se lo faccio con te dovrei guardarmi troppo dentro e scoprirei troppe paure che temo di dover affrontare”, e così via.
Quindi molto spesso non sono tanto le nostre azioni e la nostra bocca a parlare, ma la singola cellulare del nostro corpo che racconta ogni cosa, anche la più segreta.
Il mio invito di oggi è quindi quello di guardare in profondità almeno le persone a noi più care.